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giovedì 26 maggio 2011

LA PRESCRIZIONE OFF LABEL DEI FARMACI

L’argomento delle responsabilità professionali dei sanitari derivanti dalla prescrizione di farmaci off label, ossia in maniera non conforme a quanto prescritto nelle schede tecniche autorizzate dal Ministero della Salutecostituisce una questione ancora in gran parte inesplorata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. L'argomento, piuttosto complesso, meriterebbe un'analisi sicuramente più approfondita di quella che permette la struttura di un blog, cercherò, comunque, di mettere in evidenza gli aspetti principali.
La scelta di usare un farmaco off label spetta al medico curante, che, sulla base di documentazione scientifica pubblicata su riviste qualificate e indicizzate e sotto la sua diretta responsabilità, dopo aver informato il paziente e ottenuto il consenso, può decidere di trattare il proprio assistito con un medicinale prodotto per una indicazione terapeutica o modalità di somministrazione diverse da quelle registrate. In questo caso deve essere accertato che il paziente non poteva essere  trattato con medicinali per i quali quella indicazione terapeutica o modalità di somministrazione fossero state già approvate.
Sul punto, rileva quanto argomentato dal Giudice del Tribunale di Pistoia (sentenza 24.11.2005 – 20.1.2006)  che ha evidenziato come la libertà di cura sia uno degli aspetti qualificanti della professione del medico: questi deve poter scegliere la migliore terapia, secondo scienza e coscienza e, di per sé, l’uso di un farmaco off label – per finalità non previste dalla sua autorizzazione non è vietato né dalla legge né tanto meno dal Codice deontologico, purché vengano rispettati alcuni criteri fondamentali:
- Efficacia documentata: occorre che l’efficacia del farmaco e la sua tollerabilità siano documentate (requisito richiesto dall’articolo 12 del Codice deontologico e anche dall’articolo 3 legge numero 94 del 1998, la cosiddetta «legge Di Bella »).
- Dovere di informazione: occorre che il medico informi dettagliatamente e compiutamente dei costi e dei benefici della terapia scelta il paziente e che questi fornisca il proprio consenso scritto a farla.
- Nessuna alternativa: non devono esistere sul mercato altri farmaci con efficacia documentata in relazione alla patologia oggetto di cura.
- Dovere di controllo
: il sanitario, che somministra il farmaco ha il dovere di monitorarne gli effetti.
Sicurezza per il paziente, consenso informato (tanto più necessario quanto maggiori sono i rischi connessi all’assunzione del farmaco) e responsabilità del medico sono, quindi, gli elementi principali della prescrizione off label dei farmaci. E' importante che il medico nell’ottenere il consenso del paziente spieghi in dettaglio la ratiodella terapia off label, il rischio dei possibili eventi avversi, e i dati di efficacia disponibili per l’impiegooff label del farmaco che si intende somministrare.
Ricordando, da ultimo, che il medico è l'unico diretto responsabile della prescrizione off label dei farmaci, responsabilità che può essere di natura amministrativa-disciplinare, civile e penale.

Ad maiora


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AI FINI DELLA RESPONSABILITA' DEL MEDICO LA DIFETTOSA TENUTA DELLA CARTELLA CLINICA PUÒ ESSERE UTILIZZATA COME ELEMENTO DI PRESUNZIONE

La Suprema Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, con la sentenza n.10060 del 27 aprile 2010, ha ribadito che in tema di responsabilità professionale del medico la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta colposa del sanitario e il danno, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno stesso.
La giurisprudenza ha affermato che la sussistenza del nesso eziologico tra la patologia accertata dal medico, verosimilmente idonea a cagionare un pregiudizio al paziente, e il pregiudizio stesso, si deve presumere allorché sia impossibile accertare e valutare altri ipotetici fattori causali proprio in conseguenza della lacunosa compilazione della cartella clinica.
In questo quadro relativo alla distribuzione dell'onere probatorio assume rilievo il criterio della "vicinanza della prova" che, nel caso di specie, è riferibile al sanitario in quanto soggetto che ha la effettiva possibilità di fornire la prova stessa.

Ad maiora


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lunedì 9 maggio 2011

IL DIRITTO AL CONSENSO INFORMATO DEL MALATO TUTELATO DAL PRINCIPIO SUPREMO DELLA DIGNITA' UMANA

Con la recente sentenza n.7237 del 30 marzo 2011, la Suprema Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, ha affermato che il diritto al consenso informato del malato costituisce uno degli aspetti dell'inviolabile diritto alla libertà personale.
In virtù, infatti, del carattere prescrittivo degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, rafforzati dagli articoli 1-5 della Carta di Nizza, si proclamano la inviolabilità della dignità umana, il diritto alla integrità fisica e psichica con alcune specificazioni relative alle applicazioni della medicina e della biologia.
Alla luce, dunque, delle norme costituzionali, gli interventi sul corpo del paziente obbligano lo Stato e le sue istituzioni a mantenere al centro la dimensione della persona umana, in quanto la sua dignità è la base dei diritti fondamentali, senza il quale essi potrebbero essere soggetti a limiti e svilire ogni loro incisività. Ne consegue l'obbligo del consenso informato del malato che attiene alla sua dignità.

Ad maiora


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L'INDENNITA' DI RISCHIO RADIOLOGICO NON E' DOVUTA SE VIENE MENO IL PERICOLO

La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la recente sentenza n.4525 del 24 febbraio 2011, ha rilevato che l'indennità di rischio radiologico assolve ad una funzione di prevenzione, rappresentando un concorso nelle spese che l'operatore sanitario deve affrontare a scopo profilattico e terapeutico al fine di ridurre i rischi da esposizione.
Una tale indennità non è dovuta, quindi, quando venga meno l'esposizione al rischio del lavoratore per significativi periodi di tempo. Sostengono, infatti, i giudici della Suprema Corte, che l'indennità di rischio radiologico, in quanto indennità connessa a specifiche situazioni ambientali, sia dovuta solo in presenza dei particolari rischi che la stessa è diretta a prevenire, mentre non è motivata quando cessano tali condizioni per apprezzabili periodi di tempo.
Pertanto, concludono i giudici di legittimità, non è dovuta in caso di mancato svolgimento dell'attività lavorativa nelle condizioni di rischio previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva per un notevole intervallo temporale.

Ad maiora


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