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martedì 24 gennaio 2012

PER ACCERTARE LA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO SI DEVONO VALUTARE LE CIRCOSTANZE E L'ELEMENTO INTENZIONALE

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n.21437 del 17 ottobre 2011, tornando a pronunciarsi sulle problematiche connesse all'accertamento della giusta causa di licenziamento ha ribadito che per stabilire in concreto se sussista o meno, la giusta causa deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario e la cui prova incombe sul datore di lavoro.

Occorre, dunque, valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, in modo da stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.

Ad maiora

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IL DATORE DI LAVORO NON PUO' IMPARTIRE AL DIPENDENTE DISPOSIZIONI PRIVE DI FONDAMENTO LOGICO

Con la sentenza n.23673 dell'11 novembre 2011, la Suprema Corte di Cassazione ha esaminato il caso di una commessa, impiegata presso il punto vendita di Olbia di un'azienda commerciale, a cui, la datrice di lavoro, aveva richiesto di recarsi in trasferta a Nuoro per partecipare a un corso pratico di perfezionamento della durata di trenta giorni da svolgersi a giorni alterni, ossia il martedì, il giovedì e il sabato. La lavoratrice ha rifiutato di eseguire la trasferta, ritenendola priva di giustificazione e ritorsiva. Conseguentemente l'azienda l'ha licenziata, considerata la legittimità del provvedimento di trasferta in quanto rientrante nei suoi poteri organizzativi e in considerazione del fatto che si trattava di un breve periodo di formazione. Il licenziamento è stato, dunque, impugnato dalla lavoratrice, e il ricorso è stato accolto in primo grado con sentenza confermata in appello. L'azienda ha, dunque, proposto ricorso per cassazione e la Suprema Corte, con la sentenza n.23673 dell'11 novembre 2011, lo ha rigettato sostenendo che in base al potere organizzativo e di direzione che gli compete, ai sensi degli artt.2086 e 2104 c.c., l'imprenditore può predisporre, anche unilateralmente, norme interne di regolamentazione attinenti all'organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro nell'impresa, con efficacia vincolante per i prestatori di lavoro, ma perchè questo potere non si trasformi in arbitrio, occorre che il suo esercizio sia funzionale alle esigenze tecniche, organizzative e produttive dell'azienda, restando escluso che il datore di lavoro possa impartire disposizioni e prescrizioni che, incidendo sulla posizione lavorativa del prestatore d'opera, risultino prive di fondamento logico o del tutto avulse dalle ragioni attinenti all'organizzazione, alla disciplina e all'attività produttiva dell'impresa.
Per concludere, dunque, non possono trovare legittimazione nei poteri datoriali quei provvedimenti che, in assenza di ragioni attinenti ai fini della organizzazione aziendale, arrecano ingiustificato disagio ai lavoratori.




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