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giovedì 24 marzo 2011

Il lavoratore che si rifiuti di eseguire una delle prestazioni lavorative può incorrere in sanzioni disciplinari

Il caso esaminato dalla Suprema Corte, Sezione lavoro, con la sentenza n.547 del 12 gennaio 2011, ha ad oggetto la mancata esecuzione della prestazione lavorativa di alcuni portalettere dipendenti delle Poste Italiane. Quest'ultima società, infatti, e le organizzazioni firmatarie del contratto collettivo nazionale, sottoscrissero, il 29 luglio 2004, un accordo che prevedeva la possibilità per l'azienda di chiedere ai portalettere maggiori prestazioni per la sostituzione di colleghi assenti, a condizione che questi ultimi, sebbene appartenenti ad una diversa zona di assegnazione, rientrassero nella medesima "area territoriale", con la corresponsione di un importo complessivo di 35 euro da ripartire tra coloro che avessero partecipato alla sostituzione del collega assente. L'accordo venne, dunque, contestato dal Cobas di Genova, che proclamò un'astensione dalle sole prestazioni aggiuntive. Pertanto, alcuni lavoratori, seguendo le indicazioni del Cobas, si rifiutarono di eseguire le prestazioni aggiuntive, ricevendo, per tale ragione, provvedimenti disciplinari sanzionatori da parte dell'azienda,  i quali furono, immediatamente, impugnati dal Cobas per violazione dell'art.28 dello Statuto dei Lavoratori, in quanto configuranti comportamento antisindacale. Il ricorso del Cobas veniva, tuttavia, respinto sia in primo che in secondo grado.
La Suprema Corte, investita della questione, ha ritenuto, in primo luogo, necessario stabilire se l'astensione dal lavoro oggetto della controversia, rientrasse o meno nel concetto di sciopero. Nel primo caso, infatti, la sanzione disciplinare sarebbe stata illegittima con conseguente violazione dell'art.28 dello Statuto dei Lavoratori, nel caso contrario, invece, il rifiuto della prestazione avrebbe costituito un inadempimento parziale degli obblighi contrattuali e l'applicazione della sanzione si sarebbe dovuta ritenere legittima.
La Corte ha, dunque, osservato che, non esistendo una definizione legislativa dello sciopero, quest'ultimo, nei fatti, si risolve in una astensione in forma collettiva dalla prestazione lavorativa, per una determinata unità di tempo, con corrispondente perdita della relativa retribuzione.
Non costituisce, invece, una forma di sciopero, e dunque ci si trova al di fuori del relativo diritto, il rifiuto, non integrale, ma che si risolva nella mancata esecuzione di uno o più tra i compiti che il lavoratore deve svolgere.
Conseguentemente, il rifuto di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza di competenza del collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell'obbligo di sostituzione previsto dal contratto collettivo, non può ritenersi una forma di sciopero, bensì rifiuto di eseguire una delle prestazioni dovute. 
La Corte ha, dunque, concluso che l'astensione non può essere qualificata sciopero, costituendo un mero inadempimento parziale della prestazione dovuta, di consguenza la sanzione disciplinare non deve ritenersi illegittima né il comportamento datoriale antisindacale.


Ad maiora


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