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giovedì 24 marzo 2011

Incorre nel reato di estorsione il datore di lavoro che obbliga i dipendenti con la minaccia di licenziamento a sottoscrivere buste paga con dati non veritieri

Nel caso di specie, la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, con la sentenza n.1284 del 19 gennaio 2011, si è trovata a dover giudicare il caso di un datore di lavoro responsabile di avere minacciato con il licenziamento due lavoratrici sue dipendenti, per costringerle a firmare le buste paga relative ai salari mensili, alla 13a e 14a mensilità, per importi corrispondenti a un orario di lavoro inferiore a quello effettivamente prestato, procurandosi così un ingiusto profitto, con correlativo danno per le medesime.
Ebbene, la Suprema Corte, ritenendo provata la minaccia,  ha ribadito il principio secondo il quale "integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie a leggi ed ai contratti collettivi". 
Peraltro, la Corte ha osservato che, non solo, le espressioni adoperate dal datore di lavoro avessero una chiara valenza intimidatoria ma, altresì, che non aveva alcun pregio l'obiezione di ques'utlimo secondo cui le lavoratrici non potevano sentirsi minacciate atteso che si erano rivolte al giudice del lavoro ed al sindacato. 
Ed, infatti, proseguono i giudici "per configurarsi il reato di estorsione è sufficiente che la minaccia sia tale da incutere una coercizione dell'altrui volontà ed a nulla rileva che si verifichi un'effettiva intimidazione del soggetto passivo".
Diventa del tutto irrilevante, dunque, che le parti offese, successivamente e a seguito delle frasi e comportamenti del datore di lavoro, che comunque devono configurare una vera e propria minaccia per il conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno, si siano rivolte al giudice del lavoro per ottenere le loro spettanze.
Ad maiora


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